Ma dove scappano?

Giovedì.

Marina è appena tornata a casa da non so dove. Sono le 23.20. Fuori tempo limite.
L'avessi fatto io, in settimana, si sarebbe scatenato il putiferio.
Ma lei viene da un Paese dove agenti segreti vengono avvelenati da turisti innocenti.
Ah no erano imprenditori di integratori alimentari per palestra.
Ah no non erano nemmeno lì quel giorno.
La realtà assume connotazioni ogni volta differenti.
Come con Marina: le sue reazioni sono caleidoscopiche.
Un giorno può decidere che parlare alle 22 costituisce una grave offesa al coprifuoco precedentemente imposto alle 23 ma con la stessa determinatezza può mettere in ordine la cucina all'una di notte.

Comunque.

Oggi sono tornato a casa con il sorriso. Vi spiego.
La prima cosa che vuoi fare, da immigrato, solo, in un Paese che non conosci, è socializzare. A tutti i costi. Perché hai fame di integrarti nella società, conoscere i locali, vivere la tua nuova città. Ma dopo i primi tentativi ti scontri con la realtà: sì, è vero, hai cambiato latitudini ma non le tue preferenze. Ti rendi conto che forse avevi idealizzato un po' troppo gli autoctoni. Non è che siano tutti interessati a chi sei tu e a che bagaglio culturali porti. Non è la Helsinki dove feci l'Erasmus 12 anni fa, dove allora i finlandesi viaggiavano poco e tu, straniero, eri al centro dell'attenzione.
I voli low-cost hanno stravolto il modo di viaggiare e gli Svedesi, come la maggior parte degli europei, girano il mondo. Quando sono a casa vogliono stare tra loro.

Una cosa mi ha colpito in particolare all'università. Finita la lezione, scappano tutti.
Dove scappi a 25 anni, un giovedì pomeriggio alle quattro? Quali impegni così importanti ti impediscono di scambiare due chiacchiere con i tuoi compagni di corso? Che so, per sapere come si trovano in Svezia, che faranno il weekend, se hanno piacere di prendere una tazza di caffe. Nada de nada. Schizzano via come le saette, più veloci di una lepre. Senza salutare ovviamente.

Ma uno di loro oggi si è fermato. E quando gli ho risposto che sì andava bene camminare fino alla biblioteca per andare a studiare, mi ha guardato un po' sorpreso, quasi non si aspettava che dicessi "sì, cazzo finalmente" con entusiasmo ("cazzo finalmente" non l'ho detto ma per farvi capire l'intonazione del mio sì). Parlando, durante il tragitto, mi rendo conto che in realtà anche lui non ha mai capito dove corrono tutti. E mi ha messo quel sorriso di cui vi dicevo sopra.

Oggi quel ragazzo mi ha dato una grande lezione: non importa quanto strano e fuori luogo possa ritenerti, rimani sempre te stesso. Ci sarà sempre qualcuno che non scappa.

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