La Svezia colpisce ancora

Mercoledì.



A volte la Svezia mi fa ribollire il sangue. Mi è difficile accettare come in un Paese in cui praticamente tutto è pianificato alla perfezione, si aprano delle voragini burocratiche a cui nessuno sa come rimediare. Non si sa e di conseguenza non si fa nulla. Gli Svedesi sono riconosciuti a livello internazionale per la democratizzazione del design tradotto in Ikea, per la democratizzazione della moda tradotta in H&M e per quella della musica tradotta in Spotify. Ma tra noi immigrati, gli Svedesi seguono una semplice e fastidiosa equazione: no so quindi non agisco. Nessuno agisce. Un paese in perenne stand-by che aspetta la mano divina e risolutoria dello Stato.

Va beh andiamo al punto.

Ieri ho assistito ad un meeting organizzato dall'università di Stoccolma sulle possibilità formative che hanno gli studenti dei Master nel terzo semestre, a partire cioè da Settembre 2019. Per farla breve. Puoi scegliere di fare:
1. Erasmus
2. Corsi che scegli tu all'interno dell'università (di qualsiasi natura, purché accademici)
3. Corsi di lingua
4. Stage

E' sulla terza opzione che mi è ribollito il sangue.
Vi spiego.
Sto studiando svedese all'università. Perché ci voglio vivere qui. E per vivere e trovare lavoro, devi saperlo lo svedese. I corsi di svedese danno crediti universitari. Ma alla mia domanda "ci sono dei limiti massimi per il riconoscimento o posso farmeli riconoscere tutti" la risposta, secca, quasi stizzita, è stata: "non riconosciamo i crediti derivati dai corsi di svedese per gli studenti internazionali".
Immigrato bastardo (questo l'ho aggiunto io).
Al che mi sono scaldato: "quindi se faccio, per esempio, un corso di spagnolo, quello me lo riconoscete, ma lo svedese no". Risposta, ancora più aspra: "no".
Insisto, perché il "no" non mi è mai piaciuto.
"Quindi paradossalmente se faccio un Erasmus in Finlandia e seguo lì un corso di svedese quello me lo riconoscete mentre il corso di svedese che faccio qui all'università, quello no".
Questa volta, un sorriso come risposta. Prima regola di un buon svedese che si rispetti: evitare il conflitto, sorridere.

Riassumendo. All'interno di un'istituzione pubblica svedese, discriminano la loro stessa lingua!
Effetti secondari della burocrazia, direbbero.

La peculiarità dello svedese (non la lingua, l'individuo) è che tu puoi continuare per ore ad argomentare le tue perplessità, i tuoi dubbi, le tue frustrazioni ma dall'altra parte c'è un'ostinazione che può essere rintracciata nella forza devastante dei Vichinghi nel razziare le popolazione latine. Fino alla morte. Il no è un no. A priori. Punto.

Ma è la quarta opzione che ha dell'incredibile.
Lo stage deve necessariamente essere gratuito. Si avete capito bene. Come in Italia.
Anzi. Se l'azienda ti offre un salario, tu devi rifiutarlo. Perché la regola dice che deve essere gratuito. Punto.
La Svezia delle pari opportunità, del famoso welfare state e della mobilità sociale assoluta, schiavizza i propri studenti. Per carità per soli 3 mesi. Ma ha dell'incredibile il concetto di vietare le aziende di pagare lo stage. Spiegazione: "si tratta di un progetto formativo, non di un lavoro, quindi non deve essere pagato perché è come andare a lezione in classe ma in un ambiente impresariale (sic)".

Mi vengono ancora in mente tutti i ragazzi che ho assunto in negozio nella mia precedente vita in Spagna con la scusa del progetto formativo.
Progetto che? A vendere. Senza pagarti.

Tornato a casa ho scritto una e-mail Bibbia all'unione studenti.
Vediamo se vale qualcosa la quota associativa che ho pagato a inizio anno.

Svezia mia...

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